D.LGS 156/2015: IMPUGNABILITA’ DEL DINIEGO DI DISAPPLICAZIONE PER LE SOCIETA’ DI COMODO

Attraverso l’emanazione del D.Lgs. n. 156/2015 il Legislatore ha espressamente attribuito al contribuente la possibilità di impugnazione del diniego all’istanza unitamente all’atto accertativo successivamente notificato al contribuente stesso. Entrando nel dettaglio preme sottolineare che in ottemperanza al suddetto decreto quindi il provvedimento di rigetto non è atto autonomamente impugnabile, né da un punto di vista formale né da un punto di vista sostanziale; il provvedimento di rigetto non è quindi atto tale da attivare gli interessi immediati del destinatario ad insorgere giudizialmente contro di esso per evitare effetti lesivi della propria sfera giuridica. L’emanazione del D.Lgs. 156/2015 è inquadrabile come risultato di una tendenza già da anni stabilitasi; anche altri provvedimenti e leggi delega infatti erano già orientati in questo senso. L’art. 12, comma 1, della legge delega per la riforma fiscale aveva a tal proposito previsto “la revisione, razionalizzazione e coordinamento della disciplina delle società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari”. Il fine ultimo, esplicitato chiaramente, era dunque quello “di evitare vantaggi fiscali dall’uso di schermi societari per utilizzo personale di beni aziendali o di società di comodo”. Inoltre l’utilizzo di una “società senza impresa” può di per se permettere di disconoscere l’inerenza dei costi sostenuti dalla stessa, non essendo posta in essere un’effettiva attività d’impresa, ma trattandosi di un occultamento della reale attività non imprenditoriale, consistente nel “godimento privato” dei beni. Oggi una possibilità di rinfrescare la materia sarebbe inoltre facilitata dalla recente introduzione della norma in materia di abuso del diritto, anche considerato che l’istituto dell’abuso del diritto può costituire un argine sufficiente per prevenire e reprimere i comportamenti che cercano di utilizzare impropriamente la forma societaria per la finalità di conseguimento di vantaggi fiscali indebiti. La Corte di Cassazione stessa con la sentenza 19100 del 03/05/2013, ha ricondotto all’abuso del diritto la costituzione di una società in assenza di una apprezzabile ragione economica, essendo stata considerata la forma societaria non necessaria e costituita prevalentemente con lo scopo di conseguire indebiti vantaggi fiscali.
La suddetta situazione rappresenta questione principale delle vicende tributarie proprie delle cosiddette società di comodo o non operative e per le società in perdita sistematica: l’attività svolta dalla società può essere costituita da una reale attività commerciale o può sostanziarsi in un mero godimento, da parte dei soci o di altri soggetti a questi correlati, di uno o più beni che abbiano o no una propria attitudine autonoma a produrre reddito. Si ricorda comunque che l’Agenzia delle Entrate aveva già affermato, nella Circolare n. 32 del 14 giugno 2010, l’obbligatorietà della presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo riguardante la disciplina delle società di comodo (ora confermata dalla recente riforma degli interpelli ad opera del D.Lgs. 156/2015, richiamata anche nella sentenza in commento, laddove l’interpello disapplicativo resta l’unica fattispecie a carattere obbligatorio).
La normativa indirizzata a contrastare l’utilizzo di società costituite non per esercitare attività commerciali ma per gestire patrimoni ed ottenere dei vantaggi ai fini fiscali si applica nei casi in cui non ricorrano cause di esclusione o di disapplicazione, alle società che non superano il cosiddetto “test di operatività”: in tal caso il reddito e il valore della produzione rilevante ai fini dell’Irap devono essere dichiarati in misura non inferiore a quella risultante dall’applicazione di criteri forfetari e sono poste delle limitazioni alla utilizzabilità dei crediti Iva. Tutte le imprese incluse nella disciplina in esame devono compilare l’apposito prospetto contenuto nella dichiarazione dei redditi, nel quale è richiesta l’indicazione dei dati necessari per effettuare la verifica dell’operatività, e presentare l’istanza di interpello qualora intendano disapplicarla. Infine dunque è importante sottolineare che riguardo all’impugnabilità o meno del diniego, il provvedimento di rigetto del Direttore regionale non può essere impugnato immediatamente, in quanto non rientra tra gli atti impugnabili di cui all’art.19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Tuttavia il contribuente potrà far valere le proprie ragioni dinanzi alla Commissione tributaria impugnando l’eventuale avviso di accertamento notificato a seguito del provvedimento di rigetto del Direttore regionale.

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